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prefazione del traduttore xvii


namorato delle virtù plastiche e dell’incantesimo del corpo e delle vestimenta; è un artefice a linee fondamentali e sommarie. I poeti della pietra presuppongono il marmo e l’alabastro. La lira, la citara, il barbito, la forminge, l’arpa, la magadis, il salterio, l’aulo, la salpinge e via dicendo, erano senza dubbio strumenti, che nelle mani di un popolo dotato di un così squisito buongusto come il buongusto greco, consentivano armonie degne della spontanea armonia insita nella stessa favella ellenica: ma non è a parlare di musica nel senso nobile, nel senso come la intendiamo oggigiorno. Anche oggi la nostra chitarra e il nostro mandolino non sono strumenti musicali. Per noi moderni la musica non è possibile e non sappiamo concepirla fuori del quartetto. È probabile, che gli strumenti greci offrissero la conformità di un press’a poco; tanto più che il metallo e l’estensione della voce umana, e bastano a provarlo l’alfabeto e il tono della lingua, furono gli stessi che i nostri; se, però, l’arte musicale fosse salita all’eccellenza perfetta che importa necessariamente, oltre il meccanismo della scrittura, la padronanza completa della tecnica dei suoni, la gamma e il tono, il tempo e la divisione, l’accordo e il disaccordo, ossia, in una parola, l’armonia e il contrappunto, non è verosimile che di tanto lavoro d’intelligenza e di tanta perizia non si sarebbe conservato documento né traccia sicura, e non si sarebbe nemmeno tramandata la memoria. Come le maggiori tragedie, anche la musica, la partitura, quale si