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Capitolo VIII.
Il satiro e il pastore del tempo moderno sono parimente figli l’uno e l’altro di una nostalgia del primitivo e del naturale; ma con quale presa ferma e impavida il greco afferrò il suo uomo silvestre, e con che smaccata mollezza invece l’uomo moderno si trastulla con la carezzosa immagine del tenero pastorello effemminato e flautizzante! La natura non elaborata ancora da nessuna conoscenza, in cui non sono ancora spuntate le regole della civiltà: ecco ciò che il greco vide nel suo satiro, che perciò non ha ancora nulla di comune con la scimmia. Tutto al contrario: era proprio l’immagine primitiva dell’uomo, l’espressione delle sue passioni più alte e più veementi, quale entusiasta zelatore inebbriato dalla presenza del dio, quale compagno compaziente che ripativa le sofferenze del dio, quale interpetre della sapienza cavata dal più profondo cuore della natura, quale emblema dell’onnipotenza generativa della natura; proprio questo era ciò che il greco si era abituato a considerare con divoto stupore. Il satiro era qualcosa di altissimo e di divino: tale dovè singo-