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66 capitolo settimo


è, quindi, egli afferma, il passo decisivo con cui nell’arte si dichiara apertamente e lealmente la guerra a ogni naturalismo. Cotesto criterio, come a me pare, è quello a cui il nostro tempo, che si crede superiore, ha applicato lo sprezzante epiteto di «pseudoidealismo». Io invece temo, che col nostro odierno culto del naturale e del reale siamo arrivati agli antipodi di ogni idealismo, vale a dire al paese dei musei di statue di cera. Esiste un’arte anche in questi, come esiste in certi romanzi oggi in voga; ma non ci affliggano con la pretensione, che con cotesta arte lo «pseudoidealismo» di Schiller e di Goethe sia bello e superato.

Senza dubbio è «ideale» il terreno, sul quale, secondo la giusta idea dello Schiller, usa moversi il coro greco dei satiri, il coro della tragedia originaria; un terreno situato molto al disopra della reale passeggiata dei mortali. Il greco ha asciato per questo coro il palco pensile di un finto stato di natura e vi ha collocato finti esseri naturali. La tragedia è cresciuta su questo fondamento e, certo, già solo per questo venne fin dagl’inizi dispensata da una tormentosa contraffazione della realtà. Se non che, cotesto mondo non è punto un mondo fantasticato a capriccio tra cielo e terra: anzi è un mondo egualmente dotato di realtà e degno di fede, quali agli occhi degli elleni credenti le possedeva l’Olimpo coi suoi abitatori. Il satiro come coreuta dionisiaco vive in una realtà religiosamente riconosciuta, sotto la sanzione del mito e del culto. Che la tra-