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64 capitolo settimo


se davvero sarebbe possibile idealizzare questo nostro pubblico fino a cavarne qualcosa di analogo al coro tragico. Noi in segreto neghiamo una simile possibilità, e tanto più ci meravigliamo sia dell’arditezza dell’affermazione dello Schlegel, sia della natura totalmente diversa del pubblico greco. Vale a dire, noi avevamo sempre opinato, che il vero spettatore, sia quale si voglia, si tenesse sempre conscio di trovarsi davanti a un’opera d’arte, non già a una realtà empirica; laddove il coro tragico dei greci è invece costretto a riconoscere vere esistenze viventi nei personaggi della scena. Il coro delle Oceanidi crede effettivamente di avere davanti a sé il titano Prometeo, e si tiene altrettanto reale quanto lo stesso dio sulla scena. L il più alto e puro tipo di spettatore sarebbe quello che, come le Oceanidi, ritenesse Prometeo come reale ed esistente in corpo e persona? Noi credevamo che un pubblico estetico e il singolo spettatore fosse più raffinato, quanto più in grado di prendere l’opera d’arte per arte, cioè d’intenderla esteticamente; ed ecco che la forinola schlegeliana viene a significarci, che il perfetto spettatore ideale sente non già l’effetto estetico del mondo della scena, ma l’effetto di una cosa corporeamente empirica. Oh, quei greci! sospiriamo: essi ci scombussolano la nostra estetica! E con questa abitudine, ripetiamo l’aforismo di Schlegel ogniqualvolta discorrendo torna in campo il coro.

Se non che, quella tradizione così esplicita si volta contro Schlegel: il coro per sé stesso, senza