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60 capitolo sesto


dell’arte, per la ragione che la volontà per sé stessa è del tutto anestetica: essa, bensì, appare come volontà. Infatti, per esprimere in immagini la sua apparenza, il lirico ha bisogno di tutti i modi della passione, dal susurro dell’inclinazione fino al livore maniaco: stimolato dall’istinto di tradurre la musica in simboli apollinei, egli sente tutta la natura, e sé stesso nella natura, unicamente come volere, desiderio, anelito eterni. Ma in quanto interpetra la musica in immagini, egli stesso riposa tranquillo nel calmo oceano della contemplazione apollinea, e non importa che intorno a lui tutto ciò che contempla attraverso il medium della musica, si agita e turbina a tempesta. Anzi, se attraverso cotale medium guarda sé stesso, la sua stessa immagine gli si palesa in preda allo scontento: il suo stesso volere, anelare, sospirare, giubilare è per lui un simbolo, col quale egli si spiega la musica. Tale è il fenomeno del lirico: come genio apollineo egli interpetra la musica attraverso l’immagine della volontà, mentre egli stesso, completamente immune dallo stimolo insaziabile della volontà, è un occhio pieno di sole, puro e imperturbato.

Tutta questa disamina mette in sodo, che la lirica tanto dipende dallo spirito della musica, quanto invece la musica, nella sua completa illimitatezza, non ha bisogno d’immagine e d’idea, ma solamente la comporta accanto a sé. La poesia del lirico non può dire ciò che già nella sua più portentosa universalità ed efficienza non sia contenuto nella musica, che appunto ha