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l’io lirico 49


mo. («Il sentimento in me sul principio non ha un oggetto determinato e chiaro: questo si forma più tardi. Precede una certa predisposizione musicale dell’animo, dopo la quale l’idea poetica principia ad apparire»). Se ora aggiungiamo a ciò il fenomeno più importante dell’intera lirica antica, la quale dovunque significa unificazione naturale anzi identità del lirico col musico, davanti a cui la nostra lirica moderna sembra l’immagine di un dio senza testa, noi possiamo bene, fondandoci sui principii sopra esposti della nostra metafisica estetica, spiegare il lirico nel modo seguente. Egli, come artista dionisiaco, comincia col diventare completamente uno con l’uno primigenio e col suo dolore e contrasto, e rende come musica l’immagine di quest’uno primigenio, giacché la musica ben a ragione è stata denominata una riproduzione del mondo e un suo secondo getto; ma poi, sotto l’azione apollinea del sogno, la musica per lui diventa visibile, come una visione simbolica di sogno. Il riflesso, senza immagine e senza idea, del dolore primordiale nella musica, risolvendosi nell’apparimento della visione, produce poi un secondo riflesso, come unico simbolo o esempio. L’artista ha già abnegato la propria subiettività nel processo dionisiaco: l’immagine, che ora gli mostra la sua unità col cuore del mondo, è una scena di sogno, che gli rende sensibili e concreti, insieme col piacere originario della parvenza, il contrasto e il dolore originari. L’«io» del lirico sale dunque e risuona dal fondo dell’essere; la sua