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48 capitolo quinto


il primo artista «subiettivo». Solo che a noi questa dilucidazione giova poco, perchè noi riguardiamo l’artista subiettivo meramente come cattivo artista, esigiamo sopra tutto e prima di tutto in ogni forma e altezza di arte la vittoria sul subiettivo, la liberazione dall’«io» e il tacimento di ogni volontà e motivo individuale; anzi non possiamo affatto credere alla minima produzione artistica senza obiettività, senza l’intuizione pura e disinteressata. Occorre perciò che la nostra estetica risolva in primo luogo il problema, come mai è possibile il «lirico» come artista: proprio desso, che, stando all’esperienza di tutti i tempi, dice sempre «io» e ricanta innanzi a noi l’intera gamma cromatica delle sue passioni e delle sue aspirazioni. Allato a Omero, per l’appunto cotesto Archiloco ci spaventa, col suo grido di odio e di scherno, collo scoppio insensato delle sue brame: è egli il primo artista così detto subiettivo, oppure è propriamente il non artista? Ma allora donde nasce il rispetto, che proprio l’oracolo di Delfo, il focolare dell’arte «obiettiva» ha dimostrato a lui, al poeta, in memorandi responsi?

Lo Schiller ci ha illuminati sul processo del suo poetare con una osservazione psicologica a lui stesso inesplicabile, ma che a noi non sembra dubbia: confessa, cioè, di non avere davanti a sé e in sé, come stato preparatorio all’atto della creazione poetica, qualcosa come una serie d’immagini con una catena causale di pensieri, ma piuttosto una disposizione musicale dell’ani-