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Novella LVI.

Caterina furba.

(Raccontanta dalla ragazza Giuditta Diddi contadina.)


C'era una volta un padre e una madre con tre figliole grandi da marito; una famiglia ricca sfondolata che si tieneva da signori, perché il padre mercante con il su' traffico ogni giorno, si pole dire, che i quattrini gli ammontassi. Ma pur troppo della mercatura nun bisogna fidarsi! Al mercante gli viense a un tratto la nova che un su' bastimento carico di robbe la burrasca gliel'aveva colato 'n fondo al mare, e lui per una simile disgrazia si ritrovò a dover pagare di molte somme di munete, e se nun perdiede tutto il su' patrimonio, gli si sminuì tavìa tanto, che dové nuscire fora del paese 'n cerca d'altri modi di guadagno. Ma prima di partirsene per il su' viaggio il mercante volse le su' tre figliole alla su' presenzia, e gli disse: - Bambine, state ubbidienti e portatevi bene tutt'a tre. I' vi lasso per ricordo una grillanda di fiori per ognuna. Abbadateci! Perché, se vi mantienete di garbo, anco le grillande si mantierranno fresche com'ènno, o insennonò succede che appassiranno per l'affatto. Doppo, detto addio alle donne, il mercante se n'andette al su' destino. Bisogna sapere, 'nnanzi di seguitare la novella, che per l'appunto in sul dirieto della casa e orto del mercante ci steva a confino il palazzo e il giardino reale, sicché 'gli era facile alle persone vedersi e parlarsi attraverso della siepe. Ora accadette che una mattina la maggiore delle ragazze passeggiava nell'orto da sé sola e nel listesso tempo c'era nel giardino il figliolo del Re, un bel giovanotto ardito e un po' donnaiolo, e [464]