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104 VITE DEOI.I ECCELLENTI COMANPiNfl ohe per la bontà sua), dopo d’aver goduto una sanità al prosperosa, che per trent anni non ebbe mai mestieri di medicina, gli venne un male, dì cui sul principio no egli, né i medici fecero gran caso. Pensarono che fosBe tenesmo; e vi applicavano rimedii pronti e facili. In questo avendo passati tre mesi senza verun dolore, fuorché quelli che seco portava la cura, all’improvviso il male gli saltò in un intestino con tanta violenza che infine gli usci fuori una fistola marcia per i lombi. Ma prima che ciò avvenisse, sentendosi crescere i dolori di giorno in giorno e sopraggiugner la febbre, fece a sé chiamale Agrippa suo genero, e con lui L. Cornelio Balbo e Sesto Peduceo. I quali, come gli furono intorno, recatosi sopra d’un gomito: Quanta cura, disse, e quanta diligenza abbia io in questo tempo usata per ricuperare la sanila, a voi è abbastanza noto: non fa d’uopo ch’io vi dica piii parole. Ora avendo a voi, come spero, soddisfatto, e ninna omessa delle cose utili per guarirmi, altro non mi rimane che di provvedermi da me medesimo ; io non ho voluto che questo vi fosse celato. Ho risoluto di non volere più dar pascalo al mio male. Perciocché in questi giorni tutto il cibo che ho preso, altro non ha fatto che accrescermi il dolore senza speranza di risanare. Laonde io vi prego di questo primieramente che approviate la mia risoluzione, di poi che non tentiate di distogliermene, che il tentereste indarno. XXIL Fatto questo discorso con tal fermezza e di voce e di volto, che non parea che passar dovesse da vita a morte, ma d’una casa in un’altra, pregandolo pure Agrippa e scongiurandolo con lagrime e con baci, che non volesse affrettare da per sé quello a cui la natura per necessità lo conduceva ; ed a serbarsi, poiché ancora per qualche tempo il poteva, a sé stesso ed a’ suoi ; con ostinato silenzio gli fe’ porre fine al pregare. Così essendosi per due giorni astenuto dai cibi, d improvviso la febbre il lasciò e il male cominciò a farsi più leggiero, nulladimeno volle ridurre a fine il suo pensiero. Per tanto il quinto giorno dacché avea proso questo partito, l’ultimo di marzo, nel consolato di Gneo Domizio e di Cajo Socio, finì di vivere. Fu portato a seppellire in lettiga. secondo eh’ egli avea ordinato, senza veruna pompa funebre, accompagnato da tutti i buoni e con grandissimo concorso di popolo. Fu posto allato alla via Appia, cinque miglia fuori di Roma, uel Bepolcro di Q. Ceeilio suo zio materna