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:: Stella mattutina 159

muore all’ospedale. Come suo padre. A trentatre anni. Lui: che aveva il terrore dell’ospedale, e della morte.

La sorella — che la sera avanti l’aveva lasciato chiuso in un tranquillo assopimento — il mattino alle cinque vien fatta avvertire ch’egli spirò nella notte.

Giunge in tempo per vederlo, prima che la regola ospedaliera lo trasporti e lo distenda, ignudo, sul marmoreo piano inclinato, stillante d’acqua, della stanza mortuaria.

Lo ritrova in un dormitorio a parte, pieno di letti vuoti. È là, in mezzo a tutto quel bianco glaciale, nel glaciale pallore dell’alba.

Solo.

Mai ella vide un essere al mondo, così solo.

Gli fosse almeno rimasta accanto, nella notte!... Chi gli bagnò le labbra?...

Il lenzuolo lo copre fino al mento. Ma quella cosa che s’affonda nel guanciale non è più una faccia d’uomo: è l’impronta, nella pietra, d’uno spasimo che non avrà pace nell’eternità. L’uomo è spirato nel rancore. Se la morte non è riposo, che cosa è dunque?...