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un valzer, fra le braccia del duca Visconti Arese; e venne portata via.

Nè la veste si potè slacciare. Distesa sul letto d’una delle più remote camere del palazzo, dove neppur giungeva l’eco delle danze, le si recise la stoffa sulla pelle; e il povero ventre torturato, tumefatto, ne balzò fuori, dilatandosi, nudo come una confessione.

Non parlava. Solo le usciva dalla strozza un lamento, intrattenibile, sempre l’uguale, — mugolio di bestia moribonda:

— Ahi. Ahi. Ahi.

E si capiva che, pur nello stato di spasimo incosciente in cui era caduta, ella avrebbe voluto soffocare anche quel lamento; ma non poteva.

Nulla trovò da dire, nè da fare, il medico di casa mandato a prendere nascostamente e penetrato per la porticina di servizio, come un ladro. Ella moriva perchè lo aveva voluto: nel proprio silenzio, nel proprio sangue moriva, e nel proprio amore: affogandovi.

E null’altro le uscì di bocca, se non la monotona sillaba che lacerava l’animo dei con-