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nobilmente sul camice di raso bianco, costellato di diamanti.

Nacque, a suo tempo, un figlio che subito morì, con disperazione d’entrambi. Nacque, alcuni anni più tardi, Augusta.

La madre non l’amava. Amava, per inconcepibile anomalia, il figlio morto: lui soltanto. Un sordo rancore, pure inconcepibile, l’arrovellava contro il marito; quasi in lui fosse la causa della perdita del primogenito.

Augusta crebbe fra i pettegolezzi delle cameriere; fra la guardaroba, la cucina e la scuderia.

A sette anni fu pòsta in collegio; mentre la figliuola di primo letto del conte Giorgione, donna Sandra, andava sposa a un gentiluomo dei dintorni di Cremona.

E il conte e la contessa, con le sostanze dissanguate dal pazzo sperpero durato circa due lustri, si ritiravano in una villa cinta di poderi, a loro rimasta.

Essi ancor davano in buona fede il nome d’amore al più appassionato odio coniugale che potesse tenere avvinti una donna ed un uomo.