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28 nella nebbia


coi giovanotti dello studio; oppure trovavan sulla porta, la sera, l’amico pronto per accompagnarle. Le varie correnti si urtavano, sprizzavan scintille nell’urto, creando per Raimonda un’irrespirabile atmosfera magnetica. La sua giovinezza era tagliata fuori da quelle vibrazioni di gioia. Per lei non poteva sussistere la legge naturale dell’esistenza. Lo sapeva. E vi pareva rassegnata; ma, in fondo, avvilimento, desiderio insoddisfatto, rancore, le si aggrovigliavan dentro come un viluppo di serpi.

Ed era giunta a desiderar d’esser cieca, quasi che la cecità personale riuscisse a nasconderla agli occhi altrui: simile in questo al bambino che, celandosi il volto col braccio alzato ad arco, crede di essersi reso invisibile ad ognuno. Era giunta a non trovarsi bene che nell’ombra; e sempre avrebbe voluto moversi fra la densa bruma che ravvolgeva quella sera di novembre, dandole un senso inatteso e mordente d’agilità, di libertà, di sicurezza.

Un fanale a gas, d’un fosco rosso di piaga nella compagine nebbiosa, le indicava lo svolto di via Solferino in via Pontaccio. Scivolava