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nella nebbia 27


nei gruppi delle compagne non aveva udito che bisbigliar d’amore. Pareva che in tutte quelle fanciulle destinate a guadagnarsi la vita fra l’odor di muffa dei magazzini o l’odor d’inchiostro degli uffici, in tutte quelle adolescenze verdastre ed asprigne come i frutti acerbi, non germinasse che il desiderio dell’amore. Aritmetica, disegno, fisica, grammatica, non sembravano in realtà che pretesti inventati dalla dura esistenza e dalla volontà dei parenti, per ingannare, per strozzare in boccio l’istinto atavico in quelle piccole future femmine, che già davano furtivamente un nome ed un corpo al loro bisogno di amare e di sentirsi amate.

Più tardi, nel laboratorio di macchine e strumenti fotografici, dove Raimonda aveva potuto collocarsi in qualità di dattilografa, ella, intorno a sè, fra i compagni di lavoro, non aveva veduto che amore, illusione d’amore, menzogna d’amore. Le commesse, eleganti in abiti tagliati sull’ultimo figurino negli scampoli da trenta soldi al metro, colle trecce serrate intorno alle tempie secondo la moda, con tacchi altissimi, con ciglia e palpebre offese dal bistro, civettavano, nervose,