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il denaro 295


di cifre, di cifre, di cifre. E la forma del tavolo era quadrata, dei fogli, rettangolare, dei tasti, rotonda: e nulla mutava mai: e le cifre si raggruppavano in infinite guise per segnare un’infinità di numeri; ma eran pur sempre le stesse.

Accanto alla Remington, il copialettere. Tacito, ostinato, metodico. Abbassando e premendo il torchietto perchè le scritture si fissassero sui leggerissimi fogli di carta velina, Veronetta soffriva ogni volta la sensazione di schiacciar là dentro la propria anima, improntandola d’indelebili segni profanatori.

Tutto era, intorno a lei, inflessibilmente preciso, a base d’orario e di calcolo. Nel lavoro degli impiegati, nelle loro aspirazioni, nei loro discorsi, una sola molla, una sola base, un solo Dio: il guadagno. Le tappezzerie color grigio chiaro delle tre stanze d’ufficio, gli armadi a tiretti numerati, le cartelle legate da nastri verdi, le colossali scrivanie ingombre di fogli e macchiate d’inchiostro, pareva trasudassero, al par degli uomini, somme, sottrazioni, dividendi, note interminabili di “dare ed avere„.

Mongilardi, il capo contabile, chiamava sem-