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il denaro 291


nessuno, non ricordava nessuno. S’era tagliata fuori dal mondo. I legami del dovere e della consuetudine non la toccavano più. Viveva nel sogno.

Il giardino, consapevole, s’infittiva, per lei, di fronde e di canti d’uccelli. Il morir dell’aprile metteva ai rosai, ancor senza fiori, foglioline nuove sanguigne nel sole: le rosee magnolie precoci cominciavano a sfiorire, le serenelle a schiudere i loro grappoli violacei d’un acuto amarissimo sentore. Ella avrebbe lasciato il tempo trascorrere sempre così.

Ma qualcuno vi doveva pur essere, che la prendesse per le spalle e la ponesse, diritta, di fronte alla dura realtà: e fu donna Carla, la padrona della casa, la madre di Nanna e Ninna, chiuse allora in un collegio di Firenze.

Ella era sempre giunonica di forme, recisa e brusca di modi, amante delle comode vesti da camera: al qual gusto s’era aggiunto quello, un po’ troppo maschile, dei sigari virginia. Ne lasciò uno, un giorno, a mezzo, sul portacenere: scese in giardino, chiamò Veronetta.

Se la fece sedere accanto, sulla panca di pietra all’ombra del pino turchiniccio che nel