Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
286 | il denaro |
Era sua madre: cioè gli occhi pei quali vedeva, le membra con le quali si moveva, il cuore pel quale si sentiva esistere, le mani che lavoravano perchè ella potesse studiare.
Ritta a fianco del letto, cieca e sorda all’andirivieni della gente che ingombrava la camera, accarezzava con gesto monotono, quasi ritmico, la fronte della morta: vincendo il ribrezzo di sentirla così fredda, d’un altro freddo, diverso e lontanissimo da quello del marmo, della neve, del ghiaccio. E tendeva e moltiplicava le forze dell’attenzione, per penetrare il mistero.
Le ore passarono. La sera calò. Due mani pietose (Veronetta non sapeva quali) avevan posato sull’umile coperta bianca alcuni rametti d’aspirèe còlti in giardino, a pena fioriti, e posta una candela accesa a sinistra del capezzale. Una voce dolce e persuasiva (Veronetta non la riconobbe) tentò di convincere la fanciulla a distaccarsi di là; ma ella non rispose che con un cenno negativo del capo, tenendo gli occhi sempre fissi sulla fronte della madre.
Fu lasciata, finalmente, sola. E quando al terribile silenzio del cadavere più non si sovrapposero passi e bisbigli, si sentì più calma.