Pagina:Negri - Le solitarie,1917.djvu/261


“mater admirabilis„ 255


portineria, sotto un raggio obliquo di luce invernale che le accarezzava la dirizzatura troppo larga dei capelli bianchi.

S’era alzata alle cinque, prima dell’alba: aveva aperto il portone, scopato le scale e l’atrio, rimesso in ordine il suo bugigattolo, lucidate le maniglie d’ottone, ricevuta e distribuita la posta; e preparato il caffè-latte per sè e pel bambino, che aveva sempre fame: che, appena sveglio, apriva il becco come gli uccelli di nido. Si erano, come al solito, impacciate e smarrite un poco, le sue mani lente di sessantenne, nell’infilare i vestiti al diavoletto che le sgusciava fra le dita, serpentino, una vera anguilla; nell’allacciargli i bottoni — e ne mancava sempre qualcuno. Ma il piccino era adorabile, di carni sode e candide, di cuore allegro e pieno d’amore per la sua nonna. E non parlava mai, neppur per isbaglio — guidato dall’infallibile istinto che è la sapienza dei bambini — della madre, fuggita tre mesi prima con un operaio di vent’anni più vecchio di lei (e dove i due si fossero rifugiati nessuno sapeva): sempre, invece, inesauribilmente, del babbo, da un anno in trincea, sul Carso.