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248 | l’appuntamento |
— Tu che fai dunque, bambina?... Su, da brava, spogliati. Oh, guarda, guarda, povero uccellino spaurito!... Vuoi che ti aiuti io?...
Le pose una mano sulla spalla, cercò d’attirarla a sè. Ma ella lo respinse, andò con uno stanco passo legato verso la finestra, senza parlare.
Sollevò una cortina: dai vetri sporchi il suo sguardo affondò in uno stretto cortile cinto di muraglie altissime, scure, corrose da una lebbra verdastra: un ignobile budello sul quale si aprivano ballatoi ingombri di luridume, di stracci e di scope. La pioggia senza tregua e senza fine s’accaniva inutilmente a lavare quella putredine.
Se avesse, d’impeto, spalancato i vetri e si fosse buttata giù?... Forse le sarebbe stato più facile che togliersi il velo, sganciare il mantello.
Ma due braccia robuste la trassero indietro, un bacio duro e vorace sulla bocca le ricordò che ella aveva, venendo, concesso un diritto, data una promessa, e doveva pagare.
E perdette ogni forza di resistenza. E fu destituita di se stessa, e fu simile alle donne dei postriboli. E quel letto pubblico fu per lei il