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218 | confessioni |
lì, lunghe e pacate discussioni sui legumi dell’orto, su un cespo di gladioli che era necessario trapiantare, sul rosaio che pativa, sul terreno che aveva bisogno d’ingrasso. E potavano, raschiavano, vangavano, nei calmi tramonti che trascoloravan lentamente su cieli e pianure, portando con sè la misteriosa parola di Dio.
Fu in uno di quei crepuscoli, carichi di sapienza e d’indulgenza superumana, che la donna, irrigidendosi, mormorò al prete:
— Reverendo, vorrei confessarmi. Ma non al confessionale. Qui.
Le era venuto, ad un tratto, un viso livido di agonizzante. Il vecchio erculeo si raddrizzò ancor più sulla persona, s’illuminò in fronte, parve ingigantire nella dignità del ministero sacro.
— Eccomi — rispose.
E precedette la donna nella cucina invasa di rosea penombra, sedendo sul pancone a lato del focolare spento. Ella, in ginocchio sullo scalino di pietra, appoggiandosi con una mano all’alare, parlò.
— Io ho lasciato morir mio marito senza soccorso. Dunque l’ho assassinato. Ma vor-