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Storia di una taciturna 215


Qualche anziano del paese si ricordava tuttora di lei; il parroco, gran vecchio robusto, bizzarro nei modi, franco nel linguaggio, infaticabile nell’esercizio del bene, l’accolse con queste parole, rifocillanti come un liquore:

— Benvenuta!... Siete qui per lavorare?... Vi sarà molto da fare per voi.

Così ebbe principio la vera gioventù di Caterina.

La sua casetta, — un buco rustico, per contadini — confinava con la canonica, e guardava l’erba del sagrato. Una siepe di biancospini, abbracciata da vilucchi di campanule, separava il giardino del curato dall’orticello della vedova, azzurro di cavoli, giallo di camomille, picchiettato dalle gaie macchie variopinte delle dalie e delle petunie. Ella si alzava alle cinque, entrava in chiesa al din-din infantile della fessa campanella annunziante la prima messa, fra il si e il no della luce, fra gli svolìi chiacchierini delle rondini di sotto agli embrici. La chiesetta spoglia, dai muri bianchi di calce, sui quali i quadri della Via Crucis mettevan