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fici del Credito Nazionale, bisognava giocar negli angoli, adagio, senza far rumore.

A quindici, la cattiva digestione dei complicati programmi dei corsi tecnici le aveva ingiallita la pelle, cerchiati gli occhi, resa la bocca amara e impoverito il sangue: per la qual cosa il padre pensò di tenerla in casa ad aiutar la mamma, sempre più gobba e spaurita, nelle faccende domestiche. Tanto e tanto, professori e maestri parlavan di lei con compatimento, come d’una di quelle scolare che nulla possiedon di buono se non la “savia condotta„, la diligenza e la calligrafia.

— Non ha fantasia!... — diceva l’insegnante d’italiano.

— Manca della facoltà di deduzione!... — brontolava l’insegnante di scienze esatte.

In fondo, il padre non era malcontento di tal risultato. A lui piaceva, nella casa, spadroneggiare senza trovar resistenza, sdottorare senza essere mai contradetto: era il tirannucolo borghese senza bontà, tirchio e sentenzioso. Se la fortuna non gli avesse concessa una moglie stupida, a renderla tale ci avrebbe pensato lui.

Fra quei due, Caterina crebbe, tacita e la-