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166 | confessioni |
attraverso i capezzoli dolcemente succhiati, nelle vene di quell’altra mia carne staccata da me. Ma, crescendo, il bimbo cominciò a guardarmi cogli stessi occhi bruni del suo vero padre, a sorridermi col sinuoso e facile sorriso del suo vero padre. La fisionomia scacciata dal mio ricordo ritornava nel figlio, affermandosi, scolpendosi sempre più nettamente. Persino certi gesti, certe inflessioni di voce!... Un’occhiata, una frase, un atteggiamento bastava a far balzare dinanzi a me l’immagine dell’altro, e il mio peccato e la mia frode. Col tempo, ebbi paura di qualche sospetto nell’animo di mio marito: nulla. Lo adora, lui, il suo Baby. E i due figli maggiori fanno a gara con lui nel viziarlo, nel dargliele tutte vinte; e il bellissimo fanciullo ne approfitta con morbido egoismo: con quell’irresistibile egoismo a zampa di velluto che tanto lo rende simile al suo vero padre, e ne farà, un giorno, un gaudente come lui.
“Uno che ruba si mette sotto processo e si condanna al carcere, non è vero?... Ebbene, io ho rubato a mio marito ed ai miei figli maggiori: affetto, nome, parte del patrimonio, stato civile, insomma!... Sono una ladra. Sta