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l’altra vita | 153 |
se ne stava assorta in un lavoro di maglia, la vide trasalir con violenza, farsi di fuoco e di ghiaccio, balzare in piedi respingendo la sedia; stravolta, sfigurata.
Gli parve di non averla mai, fino allora, veduta. Gli parve nuovo quel viso scarnito, cogli zigomi sporgenti, col segno terribile dell’idea fissa negli occhi senza palpebre.
La scosse, le spruzzò dell’acqua in fronte, chiamò a gran voce la servetta: coll’aiuto di costei riuscì a calmare la misera creatura che sussultava in tutte le fibre, battendo i denti, guatandolo con terrore.
— Che diamine!... Franceschetta!... Non sono mica il mio fantasma!... — andava ripetendo per convincerla, stringendosi la manina di lei sul pancione prosperoso.
Ma ella rimaneva contratta, senza parola.
Qualche tempo dopo (le tre del pomeriggio: il dieci di agosto: calura: aria simile a fuoco rarefatto) — entrato in cucina, l’uomo vide Franceschetta abbandonata sopra una sedia, coi gomiti sulla tavola e il capo sui polsi incrociati. Pareva dormisse profondamente.
Volle, da quel bestiale bonaccione che era, farle uno scherzo: si avvicinò pian piano, e