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152 l’altra vita


Nessuna voce rude le avrebbe gridato — fa questo e fa quello. — Nessuna presenza imperiosa avrebbe preso il suo tempo, diretto i suoi movimenti, manomesso alla cieca il suo povero fascio di nervi doloranti. Ella non avrebbe più pranzato e cenato a tavola; ma sullo scalino del focolare — d’inverno — con la ciotola del latte in grembo: sullo scalino dell’orto, — d’estate — ascoltando la musica delle cicale e dei grilli. Avrebbe assaporato i suoi minuti di pace, uno per uno: fabbricato ogni giorno, per la propria gelosa gioia, storie maravigliose che solo l’aria e le rondini avrebbero udite.

Null’altro?... Null’altro. Riposare. Immobile. Era tanto stanca, tanto stanca, che il cervello le pesava nella testa come un ciottolo.

La vita pratica, quella che si vede, scorreva intanto senza interruzione. E il grosso mercante concludeva ottimi affari e prosperava in ottima salute e spillava dalle proprie botti ottimo vino; e badava alla tacita moglie sparuta come si bada ad un cagnolino, al quale ogni tanto si grida, con un fischio: — Fido, vien qua!... Fido, al guinzaglio!... —

Ma una sera, comparendole innanzi mentre