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148 | l’altra vita |
con allegra brutalità, nulla aveva ceduto di sè, se non il corpo; e l’aveva ceduto male, nella contrattura d’un disgusto fisico che ad ogni volta si rinnovava, eccitando, invece di stancarla, la massiccia sensualità del marito. Era rimasta custode (o schiava?) dell’anima propria, chiudendola in sè come si chiude l’acqua in un pozzo profondo.
Ma, camminando la luna nel cielo, viene il momento nel quale il suo disco argenteo si riflette, in pieno, nel cerchio vertiginoso; e l’acqua nera, dal fondo, ne rabbrividisce tutta di gioia e di speranza, sommovendosi, trasfigurandosi in lucenti tremolii di brillanti e di perle.
Ad illuminare la buia anima solitaria, distaccata in così assoluto modo dalla realtà della vita quotidiana, era sopravvenuta l’occulta malia d’un sogno. — Quale?... — Un lontano giorno, per non soffrire troppo della faccia nemica della matrigna, Franceschetta adolescente si era immaginata d’aver dinanzi non già lei, ma la madonna del grande quadro posto in chiesa sopra l’altare; e tale, realmente, l’aveva sempre veduta. — Quale sogno dunque?... — Strano, allucinante, inconfessabile — criminoso.