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140 | l’incontro |
seguì la voce pacata. — Da circa un mese io torno qui tutte le sere, coll’intenzione di finirla con la vita. Guardo l’acqua, penso che è fredda, e mi dico: Dopo non c’è più niente.... perchè non c’è più niente, ne stia pur sicura. E mi dico: Ancora un giorno!... Chi sa che il nuovo mattino non mi porti quel tal dono essenziale che mi faccia amare la vita.... Così, tiro avanti. Ho udito, non so più da chi, che l’abisso attira. Per me non è precisamente così: mi attira, e mi respinge. S’intende che, per un ometto come me, l’abisso è rappresentato da un braccio del Naviglio.... Siete sola?... non avete nessuno, voi?... (le dava del voi, adesso).
Siete sola, come me?...
Ella ebbe il fugacissimo pensiero de’ suoi vecchi che l’attendevano; ma le parvero irraggiungibili, cancellati, rimasti sull’altra riva. E rispose, di nuovo:
— Sì.
— Esser soli è impossibile. È mostruoso. Soffrire, sta bene; ma in due. Io presi moglie, qualche anno fa. Era gaia, graziosa, troppo giovine: una passeretta. È scappata. Forse ero troppo brutto per lei.
Sporse il volto caratteristico, divorato da-