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l’incontro 139


sasse. AI limite dei bastioni di porta Venezia, ombra nell’ombra, credette svegliarsi da un sogno; e si domandò che mai facesse lì, dinanzi agli enormi profili degli ippocastani, fermi in ascolto. Si domandò: Dunque?... — E si vide com’era, nella vita e fuor della vita; e capì che bisognava o rientrar nell’ordine, o morire. Meglio morire.

Tornò sui propri passi, rifece il cammino, più leggera e più sinistra d’un pipistrello; ma solo fino all’angolo di via Senato. Là, mosse verso il Naviglio, s’appoggiò alla spalliera di granito. La notte era calata completamente: non passava nessuno, o le parve. Guardò l’acqua taciturna. Si assorbì nella vertigine. Già l’atto dell’abbandonarsi alla morte era compiuto in lei, prima che le membra obbedissero all’estrema volontà; quando una voce d’uomo, vicinissima, pacata, le disse:

— Anche lei, signorina, vuol morire?...

Si volse di scatto: vide e non vide un omuncolo alto poco più di lei, meschino sotto un cappellaccio nero: lo sentì, più che non lo vedesse; e rispose:

— Sì.

— Non ne vale la pena, signorina — pro-