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l’incontro | 135 |
come il tic-tic della macchina Morse, penetrante nella sua schiena col lavorio d’un trivello.
Dove avrebbe passata la notte?... Non lo sapeva. Chiuse nella logora borsetta appesa al polso, teneva le settantacinque lire dell’ultima mesata, ricevute quel giorno. E andava.
Il tramonto, avvolgendola di vampate snervanti, smoriva nel primo sbocciare delle lampade elettriche. I comignoli e i cornicioni dei tetti serbavano un ultimo purpureo riflesso di sole, mentre le vetrine e i marciapiedi accendevano i loro strani fiori di cristallo. Tram carichi di gente passavano scampanellando, suscitando dalle rotaie scintille azzurre subito spente.
E carrozze e automobili e biciclette e carri: a Maria Chiara pareva di veder tutto per la prima volta. Quanta vita!... Ma non era per lei. Perchè nessuno e nulla era per lei?... Tutti quegli occhi di cose e d’uomini non la guardavano, non la conoscevano.
Non avvertiva più affatto il peso del proprio corpo. Stanca era; e pur fluida, immateriale, sollevata da terra, senza fame, nè sete, nè