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l’incontro | 133 |
vocazione alla fuga. Troppe ne erano accadute già. Ma la forza di pazienza, di resistenza della fanciulla — da tempo insidiata in un organismo nervoso giunto al parossismo della stanchezza — era caduta. Ella se ne era sentita spoglia, s’era trovata ignuda, priva d’ogni difesa morale nella viltà senza scampo d’una vita simile ad un budello cieco.
E s’era detta: Basta.
Basta, della sudicia casa dove sempre, rientrando, ella aveva ritrovato lo stesso puzzo di soffritto, di cuoiame e di detriti di gatto, gli stessi visi conosciuti in ogni grinza, lo stesse voci note in ogni inflessione, lo stesso basto, la stessa nausea.
Eran pure, quei volti e quelle voci, di suo padre e di sua madre. L’amavan pure, costoro, a proprio modo: con gretto, incosciente egoismo, ma l’amavano; pensando: noi t’abbiano fatta; e tu aiutaci adesso, e vivi per noi.
Perchè dunque ella voleva sfuggire alla legge, che era legge comune di vita?... Accadeva dell’anima sua come della carne viva d’una spalla costretta per supplizio a sfregarne incessantemente un’altra: si piagava,