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130 | l’incontro |
cati dal mastro, quanti spiccioli contati e dati per resto, nella pesante giornata che pareva non dovesse finir più?...
Quante volte, presa tra il fiato graveolente d’un fattorino affacciato allo sportello, e il tic-tic della macchina Morse posta contro la parete, proprio dietro la sua schiena, ella si era sentita vuotar cuore e cervello, sprofondar nell’annientamento, scorrere alla deriva come un’annegata?...
In quell’ufficio postale ripeteva da dieci anni, ogni giorno, lo stesso lavoro, cogli stessi gesti, gli stessi sorrisi, le stesse parole alle persone che si presentavano, in fila interminabile, al piccolo quadrato aperto nella vetrata opaca.
Non contava più il tempo, non s’accorgeva più delle stagioni. In quella prigione l’inverno somigliava all’estate, la primavera all’autunno. La sera, in gran fretta per non essere strapazzata, tornava a rinchiudersi nella bassa e stretta portineria d’un casamento in corso Ticinese, a fianco delle colonne di San Lorenzo: vi era nata, vi era cresciuta, vi avrebbe, forse, dovuto morire.
Al deschetto da calzolaio posto nella miglior