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50 | Neera |
guardare pensosa, al lume della candela. Quante cose le passarono per la mente! Venticinque anni prima, nella stessa circostanza, la stessa amica le aveva appuntato fra i capelli un mazzo di garofani rossi.... oh! non era adesso che le avrebbero messo dei fiori nei capelli; gli abiti caffè e latte erano buoni adesso e i lumini da notte; e poi anche i copripiedi, poichè soffriva di reumi nelle gambe; infine degli auguri — questi vanno sempre.
Severina non era affatto ingrata. Riconosceva i benefizi del fratello, amava la cognata e i nipotini; era affettuosa, era dolce più che poteva, non come voleva, perchè sentiva dentro di sè un torrente di tenerezza che non sarebbe uscito mai. Questo era appunto il suo male, il nemico chiuso in casa, il tarlo che le rodeva le ossa, il vulcano compresso che le mandava sul volto vampate terree e dense. Le sembrava qualche volta di essere idropica, di trascinare un pose nelle vene, come se ci avesse dell’acqua o del piombo, una cosa morta insomma.
Da bambina era stata molto vivace, da fanciulla molto fantastica; bella mai, nè corteggiata, ma quasi felice in un certo suo mondo ideale popolato di sogni. Figlia di un pittore, aveva conosciuto per tempo le seduzioni del colore e della linea. Pagana per istinto, si sentiva trascinata verso la bellezza, mentre i pensieri mistici e la poesia nebulosa la lasciavano fredda.
Amava drappeggiarsi nei pepli e nei veli che le modelle dimenticavano nello studio di suo padre. Scarmigliava i capelli, si metteva in testa una ghirlanda di foglie e faceva la baccante. Sdraiata sopra un mucchio di cuscini, con uno scialle attraverso i fianchi, le braccia nude, una collana di vetro al collo, un gran ventaglio in