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44 Neera


rossa e un cappellino rotondo ammaccato, cui pendeva dietro una piuma a brandelli; vagolava senza meta, col passo incerto, arrestandosi spesso sugli angoli e nell’incavo delle porte; cercando, aspettando.

Faceva un freddo di dieci gradi sotto zero, secco, pungente, un vero freddo da notte d’inverno. Alla giacca rossa mancavano parecchi bottoni ed ella se la teneva incrociata sul petto coi pugni chiusi, curva nelle spalle, battendo i denti. Ogni tratto tossiva; le doleva tutto il petto dalla gola fino alla cintura; nella scapola sensitiva una fitta acuta, come una lancia. Aveva fame, aveva freddo, aveva sonno.

Strisciando lungo il muro s’appostò contro l’invetriata di un caffè, figgendovi gli occhi. Alla prima tavola due o tre giovanotti si contendevano i sorrisi di una follia, la quale per il momento si occupava sul serio a divorare un pezzo di selvaggina. Nella sua gola palpitante scendevano l’un dopo l’altro i bocconcini, accompagnati da sospiri di soddisfazione, da fremiti voluttuosi che le faceano gonfiare il seno. Aveva tanto caldo nell’esplosione del suo benessere, che uno dei giovanotti s’era assunto l’impegno di farle fresco, col ventaglio alzato, vicino vicino alla faccia, osservando con interesse i capelli della nuca che svolazzavano.

La donna della giacca rossa continuò a strisciare lungo il muro.