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Angelica 7


parlò al curato, ne parlò al sindaco, ma trattandosi di un’infermità secondaria ed essendovi tanti e tanti altri in peggiori condizioni, conveniva pagare. Ora, il curato pensava ai restauri della chiesa, il sindaco all’epizoozia che gli aveva decimato i bovini e la moglie dell’affittaiolo giusto quell’anno aveva mandato agli studi un figliolo che le costava un occhio. Conveniva pazientare.

Quando venne la primavera, non fu più possibile tenerla. Angelica tornò a’ suoi prati verdi, al mormorio dei ruscelli, sotto i salici, dove la pianura era più larga, più silenziosa e deserta.

Là ritrovò tutti i suoi vecchi amici: i grilli, le rane, le cicale. C’era un pioppo alto alto pieno di uccelli, e Angelica sedeva all’ombra di quel pioppo, coi ginocchi tirati su stretti fra le mani, dondolando il capo da destra, a sinistra, in una beata estasi di felicità.

Una volta ebbe paura perchè udì uno sparo di fucile a pochi passi da lei, ma subito dopo sbucò dagli alberi un giovinotto, e pienamente rassicurata da quella vista, lo guardò e gli sorrise.

Il giovane era forestiero — un bracciante capitato in paese da pochi giorni. Guardò e sorrise anche lui alla giovinetta, anzi, per abbondare in generosità, le si fece accanto e l’accarezzò sotto il mento.

Angelica rise più forte, allettata da quell’incontro, fissando il giovane con una curiosità che