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avesse aperto una finestra non mai conosciuta prima. Gli pareva di fiutare l’odore dei biancospini, di sentire l’aria più leggiera, di scorgere mille piccoli esseri dorati notanti in un raggio di sole — farfalle, moscerini, ali d’angelo, gocce di rugiada, speranze, illusioni, chimere — una falange, un mondo baldanzoso e giulivo che irrompeva diradando le tenebre della sua esistenza.
Egli pensava — il mesto sognatore — e frattanto la mano carezzevole, di Diana aveva ripreso posto tra i suoi capelli, suscitandogli dei brividi strani.
— Mio Luigi, vuoi essere sincero con me? — colla tua mogliettina? I discorsi neri neri che ti faceva oggi la zia non ti piacciono punto. Tu non vuoi appartenere ad alcuna società, non è vero? Tu vuoi essere libero come l’aria e vuoi amarmi — eh?
Luigi represse un sospiro, che forse uscendo dal suo petto si mutava nel grido di gioia della tigre quando vede cadere una sbarra della sua gabbia.
— Io devo tutto alla baronessa, rispose.
— Gli devi di essere diventato un uomo e di avere una volontà, ma la zia non può pretendere che tu le sacrifichi le tue opinioni.
Non si poteva discutere con Diana su ciò che la baronessa poteva o non poteva pretendere; ma la sua franca dichiarazione produsse un effetto salutare in Luigi, che cominciò a vergognarsi della propria debolezza.