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Questa domanda Diana la faceva con tutta disinvoltura arrotolando gli angoli del suo libro da messa. Ella aveva la logica terribile dei fanciulli che sono guidati dal solo buon senso. Non si rifiutava mai a seguire sua zia in chiesa; metteva di buona voglia il velo nero sui suoi capelli biondi, si inginocchiava e pregava un poco colla fronte raccolta nelle mani, ma poi scappava fuori con cotesta razza di osservazioni che facevano impazientire la baronessa.

Fu ben peggio quando la cameriera zelante e beghina ch’ella aveva messo al servizio di Diana, venne a raccontarle piagnucolando che la signora l’aveva congedata.

— È egli possibile che Diana abbia fatto questo? — esclamò la baronessa sconcertata in tutte le idee ch’ella erasi fabbricate sulla timidezza della nipote. La fece chiamare in tutta fretta e:

— Tu hai licenziata Caterina?

— È vero. L’impertinente mi ha mancato di rispetto ed io ho creduto mio dovere di non soffrirlo.

A sentire quella ragazza parlare di dovere e di rispetto con una fermezza tranquilla che non ammetteva discussioni, la baronessa si chiese in cuor suo se era la medesima Diana inesperta e goffa, che non sapeva dirigere una conversazione e che perdeva la bussola per un complimento.

Bisognava pur convenire che in quella testina suc-