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Ne successe un mezzo scandalo, e Cristina pensò che conveniva mettere prontamente un argine a quella breccia da cui entravano sì perniciose divagazioni. Ammonì Diana, pose in guardia Luigi, e stese all’ingiro una specie di cordone sanitario per arrestare i progressi del morbo.

Sul tavolino di Diana comparve La donna cattolica del prete Ventura; su quello di Luigi un esemplare della Campana di San Pietro.

A pranzo la baronessa fece una bella dissertazione sulle letture perniciose, e consigliò la giovane sposa a cercare più in alto un pascolo per la mente.

Disse che la vita è un agone, dove chi combatte per la verità — e la verità non occorre ripetere qual sia — trionfa immancabilmente. Aggiunse molte belle parole sulla purità dei pensieri, sulla santità della missione di donna, tanto che Luigi, che aveva in animo di offrire per quella sera un palco in teatro — si rappresentava Serafina la devota — non osò.

Luigi non era bigotto, ma nell’organismo calmo delle sue fibre non aveva mai trovato una forza da opporre alla baronessa, e ne subiva, benchè a malincuore, l’influenza, resa ancor più dispotica sotto il velame della religione.

Diana invece, più viva, più agile, guizzava accanto agli ostacoli; pari a una molla d’acciaio, piegava talora, ma per rimbalzare un momento dopo.