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e si passa avanti. Tale doveva essere in casa sua la posizione di Diana.

Abilmente rincarando sulla incapacità giovanile, la baronessa l’aveva esclusa da ogni ingerenza di famiglia. Quando si trattavano gli affari diceva:

— Sta zitta, Diana, parla piano co’ tuoi canarini, e aspetta dopo a suonare i tuoi valzer.

Diana non se n’aveva a male; accettava ridendo la sua inferiorità; ma ciò che dispiaceva alla zia era la poca religione della nipote, lo spirito soverchiamente libero e il criterio debole, vacillante, come chiaro lo addimostrava la spensieratezza dei discorsi e la franchezza oltremodo ingenua del contegno — ella non supponeva certo che tutto ciò potesse indicare svegliatezza d’ingegno — nel suo disprezzo lo aveva battezzato ignoranza, e non si usciva di lì.

In mezzo ai cartoncini eleganti di marocchino rosso che ornavano la libreria di Diana, la baronessa aveva scoperto un libriccino gualcito, vecchio, stampato male, che portava per titolo: Viaggio sentimentale di Yorik — traduzione di Didimo Chierico.

Si vede che, ad onta dei romanzi storico-morali-buffi, sotto cui gemevano i suoi scaffali, Diana ricorreva ad altre fonti.

Quel libriccino le era balzato fuori curiosando nello studiolo di Luigi, e siccome l’aveva colpita, e le piaceva lo stile acuto e bizzarro, non le venne scrupolo a portarlo via per leggerlo con maggior agio.