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Al limite del giardino incominciava il parco, e sotto quelle folte querce, ricche d’ombra e di mistero, compiacevasi immensamente la fantasia di Diana.
Ella ne accresceva per giovanile vaghezza le tinte cupe, immaginando di essere in una foresta del nuovo mondo; e fino a un certo punto l’illusione era possibile. I ragni, gettando da un ramo all’altro i loro fili d’argento, vi avevano improvvisato, durante la notte, una specie di verginità che Diana distruggeva a colpi d’ombrello, pensando di abbattere tralci di liane e d’edera secolare; e poichè, prima di partire da Milano, sua zia l’aveva condotta a sentire il Guarany, non era lontana dal supporre che in mezzo a quelle fitte piante potesse comparire da un momento all’altro un elegante Perì coll’arco in mano e l’yatagan alla cintura.
Senza accorgersi, stendendo sui ginocchi il suo canovaccio, ella incominciò a cantare con una vocina da mezzo soprano: Sento una forza indomita...
Ma invece del Perì, comparve la baronessa.
Diana balzò in piedi rossa rossa, non perchè credesse di aver fatto qualche cosa di male, ma i cuori innocenti e giovani alla vita hanno impressioni subitanee, la sorpresa pronta, e si sbigottiscono facilmente come i puledri, i conigli e gli uccelletti.
La baronessa sorrise con bontà; poi raccogliendo lo strascico della sua vestaglia di cachemir, sedette