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dei mesi fra il cartone pesante dell’Antologia una viola del pensiero.

Ne conosco di quelle che ciarlano spigliatamente motteggiando sull’amore e facendo pompa di uno scetticismo alla moda — ma permettetemi di non pensare a loro. Lasciatemi studiare il mio tipo in quella falange che va sempre più restringendosi di fanciulle pure, innocenti, un tantino grulle, che non sanno stringere la mano all’inglese, nè misurare i gesti, nè parlare a bocca chiusa, o mettere in mostra il piedino con garbo fingendo di evitare una pozzanghera.

Lasciatemi studiare la fanciulla nella sublime poesia della sua ignoranza, bella de’ suoi stessi difetti, grande nella sua semplicità — la fanciulla che arrossisce, che balbetta, che si turba, che non sa cosa rispondere a un complimento e che allaccia il suo cappellino di traverso per correre incontro ad una amica.

Se si bandisse anche dal romanzo questo ideale di fanciulla, dove la troveremo mai?

Diana aveva preso seco il suo canevaccio, e lieta come un’allodola che si slancia per i cieli, correva saltellando in mezzo al giardino, nella direzione del piccolo salice.

Era una mattina fresca e scintillante sull’orizzonte sereno, nel sole splendido, negli alberi, dai quali cadeva imperlata la tarda rugiada dell’autunno.