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Luigi offriva maggiori ostacoli all’attacco.

Il suo amore ombroso e un po’ selvaggio si trovava in un momento di crisi. Il fuoco vero incominciava a rallentarsi, e, come avviene a tutte le fiamme moribonde, ne sprizzava una luce effimera e grandiosa che poteva parere incendio.

Ma Cristina leggeva chiaro nel cuore del suo amante; quella effervescenza, quell’ardore non la illudevano: ella nascondeva ancora bene i suoi capelli bianchi sotto le sue treccie nere, ma aveva il coraggio di guardare in faccia gli anni che si avanzavano, e il suo colpo di Stato le appariva d’una urgenza estrema.

La religione, ch’ella non aveva mai abbandonata, non l’abbandonava a sua volta, e già vedemmo in quale modo se ne serviva per i suoi progetti.

Uno scrupolo a tempo, una reticenza, un granellino di rimorso; le belle parole di redenzione, di riparazione; il pentimento, l’immortalità dell’anima, tutto ciò nelle abili mani della baronessa si fondeva in un armonico concerto d’amore e d’abnegazione, che poteva alla fine commuovere il cuore di Luigi.

D’altronde, quale sacrifizio gli si domandava? — il sacrifizio era per lei — lui non doveva far altro che sposare una fanciulla di diciotto anni con quattrocentomila lire di dote.

Il povero nipote del parroco non possedeva nulla