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«Non sono più a Milano.
Domenica abbiamo lasciato il nostro bell’appartamento di Borgonovo e siamo partite per questa campagna. Anche qui ogni cosa è tale da sedurre una povera educanda, abituata come me a non vedere altro che i sassi coperti d’erba di via Quadronno e le cuffiette bianche e nere delle suore.
Alberi giganteschi, boschi romiti, verdi declivii, sentieruzzi misteriosi sul dorso della montagna, freschi ruscelli nel grembo della valle; fiori, farfalline, usignuoli... eh, che te ne pare? Non manca nulla.
La casa poi è magnifica, — te lo dico con un certo amor proprio, perchè appartiene proprio a me, a me sola. La zia può abitarla finchè le piace, — oh, pensa se vorrei che fosse il contrario, cara e buona zia! — ma mi fa un certo effetto quel sapermi padrona di muraglioni così alti, di tante camere, di portici, di colonne e di un parco che misura sette chilometri...
Vuoi che lo confessi? Ho paura d’aver un briciolo di orgoglio in fondo al cuore — non sono davvero quella timida che tutti credono.
A volte mi sento un non so che, una specie di forza latente, di coraggio addormentato che aspetta l’ora del cimento, e una voglia matta di agire, di combattere, di soffrire perfino!
Mio Dio, se v’offendo perdonatemi.
Tu che ne dici? Sono molto ingrata o senza cer-