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Conviene anzitutto risalire il corso di due lustri, fino all’epoca in cui la baronessa era rimasta vedova. Aveva allora ventotto anni, senza figli, bellissima, e le male lingue non potevano trovare un neo nella sua condotta.
Di costumi severi e di una pietà veramente esemplare, la vedovella pianse il compagno che Dio le aveva dato abbandonandosi a un dolore decente, confortato da molte messe e dalla speranza di ritrovarsi in un mondo migliore.
Sulle prime pareva disposta a tenersi con sè la nipotina orfana, affidata alle sue cure; ma poi cambiò pensiero, e mettendo la nipotina a convitto nel monastero delle Marcelline, si ritirò in una villa — proprietà della fanciulla, ma di cui ella godeva l’usufrutto in qualità di tutrice — villa splendida, quasi principesca, che sorgeva in fondo a una remota valle bergamasca, baciata dall’Adda e accarezzata dal venticello delle Alpi.
Questa dimora romantica, sentimentale, in mezzo a boschi di querce, dove non giungeva soffio di vita mondana, piaceva immensamente alla bella sconsolata, che vi passò due anni di perfetta solitudine.
E poi?
Ah!... e poi! Qui incominciano le dolenti note.
Trent’anni erano scoccati sulla vaga fronte della baronessa — ella vi pensava una blanda sera d’au-