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giovane donna custodiva i suoi lavori, i ricami leggieri destinati alle vesticciuole d’Enrico.

La baronessa si avvicinò.

Dieci anni prima il gabinetto le apparteneva; ella lo abitava sola, e gli ampi specchi di Venezia appesi alle pareti la salutavano regina, e riflettevano accanto alla sua immagine, alteramente proterva, il volto supplice di un uomo che le giurava eterno amore! Sui cuscini di raso viola, quante volte il suo braccio nudo, splendente come l’avorio, si era posato con molle abbandono, e quante volte due labbra deliranti ne avevano ricercato il voluttuoso tepore!

In quell’ora, in quel luogo, una folla di rimembranze l’assalirono, dolci e crudeli insieme, mestissime tutte e tali da rendere più intenso il suo furore geloso.

Aveva nelle mani un lume e un foglio.

Non vi era ombra alcuna d’esitazione ne’ suoi lineamenti; una risoluzione disperata le brillava negli occhi; le labbra strette sembravano ricacciare indietro il rimorso. I versi d’Alessio stavano per cadere nel panierino di Diana.

Ma un braccio l’arrestò nell’opera infame. — Cristina, volgendosi tramortita, si trovò faccia a faccia con Luigi.

— Che fate voi qui, signora?

La sua voce tremava, contenuta a stento. Ella non