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con un’arte piena di abbandono, circondavano un volto ove lo spirito e la malizia urtavansi perennemente facendo scaturire le più brillanti scintille.

Usava egli bagni di latte d’asina come la voluttuosa Poppea? Certo, al pari di Apicio, che intraprese il viaggio d’Africa per trovare una qualità di gamberi migliori di quelli d’Italia, il marchese Gili sarebbe partito per le foreste vergini della Nuova Caledonia se gli avessero detto che colà germogliava un’erba capace di ritardare, fosse pure d’un giorno, la cadente vecchiezza. E frattanto usava le cure più minuziose onde conservare il vermiglio delle sue labbra, lo smalto dei suoi denti, la morbidezza della sua mano, l’elasticità giovanile dei muscoli e delle movenze aggraziate e pronte.

Il suo sorriso era fino, mordente; lama a doppio taglio presentava ad un tempo la galanteria e la satira. Spiritoso e maligno, si faceva temere dagli uomini — colle donne otteneva i più insperati successi.

Giova premettere ch’egli aveva studiato a fondo la strategia del cuore femminile, e sapeva che il tempo ha il suo valore, il luogo anche, ma nel modo veramente consiste il segreto delle cittadelle vinte. Il fuoco distrugge il castello, la fame uccide i soldati; non c’è che l’astuzia che salva tutto.

Il marchese possedeva inoltre un gran talento — sapeva aspettare.