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è, si trovano carponi per terra a raccogliere un fantoccio di legno, a far correre una palla di gomma elastica, a far scattare la molla di un arlecchino nascosto in una scatola di confetti...
Egli è là il piccolo sovrano, il mondo, l’astro, l’infinito, il più eloquente dei poeti, la creatura più amabile e più perfetta.
Egli ride, si diverte, batte le manine, tira i baffi di papà e gli pone in bilico sul naso la gamba dell’arlecchino.
In verità, io vi giuro che papà non è mai stato così felice — neppure quando lo hanno fatto cavaliere.
Siete padre? — domandava Enrico IV all’ambasciatore di Spagna.
Ed io domanderò al lettore — se pure ho un lettore — siete padre?
Queste gioie domestiche non toccavano la baronessa, lungi dal commuoverla, le facevano dispetto.
Ella attraversava, nero fantasma, la cerchia lucente in cui si muovevano Luigi, Diana ed Enrico — la attraversava ritta, severa, col suo libro di preghiere in mano, e Diana diceva: — Come è invecchiata presto la zia!
Frequentava assiduamente la chiesa, cosa che aveva sempre fatta del resto: distribuiva elemosine ai poveri più devoti, preparava regalucci per i fanciulli