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aspettarmi nel corridoio interno dell’appartamento della baronessa. Sei pratico, non è vero?

— Oh! sì, signore.

Di interrogativo, il punto si fece esclamativo.

Battista si rizzò, coi piedi avvicinati, una mano lungo la coscia, nell’altra il cappello. A un cenno del marchese risalì sul carrozzino a fianco del cocchiere, che sferzò i cavalli e partì di galoppo.

Il marchese entrò con passo disinvolto in una bella casa di aspetto grandioso e imponente; infilò, coll’aria d’un uomo che conosce la sua strada, un ampio scalone fiancheggiato da semprevivi, a cui si aveva, per la circostanza, aggiunto delle camelie. Ma intanto che i fatti svolgendosi nel loro ordine naturale, faranno palese questa circostanza, schizziamo un po’ di ritratto.

— Vi prego, signor romanziere, il vostro ritratto lo conosciamo già. Bello, giovane, simpatico, spiritoso, distinto — colla fronte intelligente, gli occhi luminosi e il sorriso irresistibile. Venticinque anni e venticinquemila lire di rendita, oltre il blasone. Ecco.

— Io vi ho lasciato parlare, vivace quanto cara lettrice, perchè non si deve mai interrompere una signora; ma lasciatemi dire che sbagliate. L’elegante marchese Gili (Armando, Sigismondo, Maria) aveva anzitutto sessantacinque anni.

— Basta! oh, allora basta!

— Ma no, signora, moderate, vi prego, l’impazienza