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Cristina aveva soggiogato i sensi e il cuore di Luigi — l’anima le era sfuggita; e l’anima in Luigi era tutto.

Nei momenti più caldi della loro passione, in mezzo alle più dolci ebbrezze, ricco d’amore, di voluttà, di fortuna, egli sentiva un vuoto che quella donna soverchiamente terrena non riusciva a colmare — gli mancava l’ideale.

Lo spirito positivo di Cristina, i gusti, l’assolutismo stesso del suo amore si erano imposti, non avevano guadagnata e molto meno non avevano compresa quell’anima poetica e spiritualista che aveva bisogno di spazio intorno a sè, d’aria, di luce e di illusioni.

Cristina era troppo completa sul suo essere morale e materiale — non lasciava nessun campo all’immaginazione — era come un problema d’algebra colla soluzione accanto.

Quando ella credeva di possedere interamente Luigi, la parte migliore di lui vagava nei mondi immaginari ed astratti. Se queste fantasticherie solitarie rompevano l’unisono e minavano segretamente la passione, aiutavano però anche a prolungarne il dominio, perchè dividendo le forze del giovane e sperdendone quasi tutto l’ideale, gli restava nella vita pratica quella specie d’indolenza che pareva fiacchezza e che era invece distrazione, ma che ad ogni modo inceppava i suoi movimenti.