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mezzo a nuvole di veli e di fettuccie, agitando le manine, guardando tutti coi suoi occhioni intelligenti, sembrava prendersi la sua parte di congratulazioni, e rispondeva con mille vezzi bambineschi ai baci che sfioravano il festoncino della sua cuffia.

Dopo le visita intime ed esclusivamente femminili, furono ammessi anche gli uomini.

Il marchese Gili si fece annunciare durante un bel meriggio di febbraio, mentre Diana presso la fiamma allegra del caminetto cullava il suo Enrico — non potendo battezzarlo per Cristino, la baronessa si era ricordata che tra i suoi nomi secondari vi era quello di Enrichetta.

Il piccolo furfantello, ben pasciuto e soddisfatto, staccavasi allora dal seno materno, si dibatteva tra le fasce con una vivacità che prometteva per l’avvenire un vero demonietto.

Angelo e demonio sono tanto vicini!

L’elegante marchese Gili entrò, ma fin dai primi passi credette di sognare o di avere per lo meno le traveggole. Diana era trasformata. Egli serbava la memoria di una giovanetta cachetica, magra, impacciata, e si trovava davanti una donna graziosa, avvenente, sicura de’ suoi mezzi, disinvolta come si conviene a una mente superiore e ad una educazione perfetta.

La maternità aveva maturate le bellezze nascoste nel germe della fanciulla, arrotondando i contorni,