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suo babbo. Vedi? — egli apre gli occhi. Sono tutto i tuoi occhi, neri e malinconici; sembra dire: Mi avete messo al mondo... non abbandonatemi!

Luigi rideva e aveva voglia di piangere. Un sentimento di una dolcezza infinita eppure triste gli saliva dal cuore fermandogli le parole nella strozza. Teneva fra le sue una mano di Diana, e pensava che il cielo è più vicino alla terra di quello ch’egli avesse mai creduto.

Una voce autorevole e severa ruppe l’incanto.

— Dove avete il senno? Il medico ha raccomandato la calma, il riposo, ed eccovi qui a mettere sottosopra questa povera ammalata.

— Sto bene, zia. ti assicuro. Luigi mi teneva un po’ di compagnia — parlavamo del nostro bambino.

— Favorite cedermi il posto; è quasi notte, e le emozioni, per quanto gradite, anzi tanto più se gradite, ritardano il sonno.

Luigi si ritirò, e la baronessa sedette accanto a sua nipote. Aveva portato un libro di meditazioni, visto il quale, Diana chiuse gli occhi, senza però togliere il braccio dal cuscino ove riposava l’angioletto che, nella assenza di Luigi, rappresentava tutto il suo mondo.

Passati quindici o venti giorni, Diana ricevette le amiche che venivano a felicitarla per il suo parto fortunato.

Il bambino non l’abbandonava mai. Sorridente in